Fiscalità nel patto di famiglia

Prima di procedere all’analisi dell’attuale posizione giurisprudenziale in tema di tassazione delle attribuzioni nel patto di famiglia, pare opportuno soffermarsi brevemente sulla natura dell’istituto, circostanza fondamentale anche ai fini fiscali.

Come più volte sottolineato dalla dottrina all’indomani della novella del 2006, il patto di famiglia assume i connotati di un istituto a natura essenzialmente liberale attraverso il quale il disponente mira a realizzare l’arricchimento dei soggetti coinvolti (assegnatario e legittimari non assegnatari) per puro spirito di liberalità.

Tuttavia, non si tratta di una mera liberalità quanto, piuttosto, di una liberalità avente funzione successoria.

Il trasferimento di aziende o quote associative ben potrebbe essere realizzato anche tramite una semplice donazione. Quello che offre il patto di famiglia è, invece, un’attribuzione stabile e duratura non passibile di essere minata dalla futura successione del disponente

L’imputazione delle attribuzioni effettuate in forza del contratto, definite anche come “anticipazioni della legittima” , sono quindi volte ad attribuire stabilità al passaggio generazionale .

Di conseguenza, le attribuzioni effettuate in forza di patto di famiglia danno vita ad una vicenda sostanzialmente unitaria la quale viene ricondotta dalla dottrina maggioritaria all’interno dello schema della donazione modale .

La posizione della giurisprudenza di legittimità nel patto di famiglia

Con l’ordinanza n. 32823 del 19 dicembre 2018, prima pronuncia in materia di tassazione delle attribuzione a favore dei legittimari non assegnatari, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che il patto di famiglia assolve ad una funzione anticipatoria degli “effetti della successione”, “al contempo prevenendo future liti divisionali e di riduzione tra coeredi”, rivelando una “natura essenzialmente liberale e donativa”.

Simile connotazione funzionale e causale richiede, a giudizio della Corte, di essere apprezzata fiscalmente alla luce dell’art. 58, primo comma, TUSD e, dunque, applicando la regola prevista per le donazioni modali. Si tratterebbe, si legge nella pronuncia, di un onere non imposto dal disponente ma previsto ex lege che “trova fondamento nel carattere liberale originario del trasferimento”.

Secondo la prevalente lettura dottrinale, dall’applicazione alle attribuzioni realizzate per il tramite del patto di famiglia della regola contenuta nell’art. 58, primo comma, TUS, deriva la configurazione dell’attribuzione rappresentata dall’onere quale autonoma donazione dal disponente al legittimario non assegnatario. Coerentemente con la ricostruzione civilistica, il disponente, tramite l’onere, realizzerebbe due attribuzioni liberali: una diretta (a favore dell’assegnatario), una indiretta (a favore del beneficiario non assegnatario). In questo senso, tale momento attributivo dovrebbe essere assoggettato a tassazione alla luce del rapporto personale, di discendenza in linea retta, tra disponente e legittimario .

La Corte di Cassazione, nella sentenza citata, è però giunta ad una diversa soluzione, qualificando l’attribuzione al soggetto beneficiario dell’onere come una donazione proveniente dal soggetto onerato. Il che comporterebbe la necessità di applicare l’aliquota e la relativa franchigia applicabile in base alla relazione intercorrente fra beneficiario assegnatario e beneficiario non assegnatario .

Al contempo, in tema di applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 3, co. 4-ter, TUS, la Suprema Corte accoglie quanto affermato dall’Amministrazione finanziaria “L’agevolazione recata dall’articolo 3, comma 4-ter, del TUS, si applica esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, e non riguarda anche l’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto”   e ciò “indipendentemente dalla civilistica ravvisabilità, nell’istituto in esame, di una causa negoziale unitaria.”

La suprema Corte è però recentemente tornata a pronunciarsi sulle medesime tematiche adottando una posizione parzialmente opposta a quella sopra ricordata .

Innanzitutto, per quel che concerne il richiamato profilo in tema di applicabilità dell’articolo 3, co. 4-ter, TUS anche alle attribuzioni a favore dei beneficiari non assegnatari, la Corte di Cassazione conferma il proprio orientamento.

In particolare, l’inapplicabilità della norma di favore deve essere ricavata dallo stesso dato letterale della richiamata disposizione, la quale fa menzione del solo trasferimento di aziende e partecipazioni sociali e, pertanto, le compensazioni a favore dei legittimari non assegnatari devono “ritenersi escluse dall’esenzione, posto che la norma, come qualsiasi previsione agevolativa, non può che essere di stretta interpretazione, in quanto derogatoria rispetto al regime impositivo ordinario”.

Al contrario, la Corte assume una posizione diametralmente opposta rispetto al proprio precedente del 2018 in tema di aliquota applicabile alla liquidazione a favore dei non assegnatari affermando come queste ultime devono considerarsi donazioni “del disponente in favore del legittimario non assegnatario, con conseguente attribuzione dell’aliquota e della franchigia previste con riferimento al corrispondente rapporto di parentela o di coniugio”.

Difatti, sebbene la liquidazione a favore dei legittimari non sia perfettamente sovrapponibile al modus presente nelle donazioni modali , da un punto di vista fiscale “la situazione è assimilabile, perché all’attribuzione liberale si affianca l’obbligo per il beneficiario di adempiere ad una prestazione, che non costituisce il corrispettivo dell’attribuzione ricevuta, ma la ridimensiona, soddisfacendo altri interessi dello stesso disponente e dei terzi destinatari della prestazione”.

Di conseguenza, la donazione ricade all’interno del perimetro applicativo dell’art. 58, primo comma, TUSD e, pertanto, “la donazione modale avente un destinatario determinato è […] considerata, dal punto di vista fiscale, come una doppia donazione, una eseguita a favore del donatario e l’altra a favore del beneficiario dell’onere”.

La giurisprudenza di merito

Le richiamate pronunce della Suprema Corte, ad oggi le uniche in materia di tassazione delle attribuzioni ai legittimari non assegnatari, hanno recentemente trovato un proprio riscontro anche nella giurisprudenza di merito.

Pare quindi opportuno analizzare alcune di queste pronunce al fine di valutare quale sia, ad oggi, la posizione dominante accolta dalle commissioni tributarie.

Il primo contributo che merita di essere analizzato è certamente la sentenza della CTR Abruzzo, n. 552/2021  alla quale la stessa Cass. 29506/2020 aveva rinviato la causa per la determinazione nel merito dell’imposta dovuta.

La vicenda aveva ad oggetto un patto di famiglia con il quale il padre aveva assegnato al figlio le quote di controllo di una società estera, onerando quest’ultimo di liquidare con una somma di denaro la sorella, legittimaria non beneficiaria. I contribuenti avevano ritenuto che entrambe le attribuzioni dovessero ritenersi esenti da tassazione ai sensi all’art. 3, co. 4-ter del TUS; al contrario, l’Agenzia negava l’applicabilità di tale agevolazione in relazione alla liquidazione della legittimaria non assegnataria ritenendola tassabile in via ordinaria, con l’aliquota d’imposta riservata alle donazioni tra fratelli, pari al 6%.

La sentenza, sebbene limitata dal principio di diritto contenuto nella pronuncia di legittimità, ha il merito di schematizzare efficacemente il ragionamento della Suprema Corte, concludendo per l’applicazione dell’imposizione proporzionale a causa del superamento della franchigia di 1.000.000 vigente per i discendenti in linea retta.

In un secondo intervento, proveniente dalla CTP di Varese , i giudici Varesini sono stati chiamati a giudicare la legittimità di un diniego di rimborso con il quale era stato negato il rimborso dell’imposta di donazione, liquidata con l’aliquota del 6%, versata in relazione alle compensazioni fatte dalla beneficiaria assegnataria alle sorelle in forza di un patto di famiglia avente ad oggetto le quote della S.r.l. partecipata dalla madre.

La Commissione tributaria, facendo proprio il ragionamento della pronuncia 29506/2020 della Corte di Cassazione, ha qualificato le attribuzioni a favore dei legittimari non assegnatari alla stregua di un onere ex lege con conseguente applicazione dell’art. 58, TUSD.

Pertanto, le predette attribuzioni sono state considerate alla stregua di liberalità indirette dal disponente ai legittimari non assegnatari con applicazione delle aliquote e delle franchigie pertinenti al rapporto sussistente fra questi soggetti.

Pertanto, i giudici di primo grado hanno ritenuto il rimborso integralmente dovuto.

Medesime argomentazione sono poi riproposte dalla CTP di Reggio Emilia n. 222/2021 chiamata a pronunciarsi circa la tassazione di un patto di famiglia con il quale i coniugi Tizio e Caia trasferivano le quote della società Alfa società agricola al figlio Sempronio, il quale assumeva l’obbligo di liquidare alle sorelle le quote di legittima.

Anche in questo caso, la Corte ha ritenuto che le argomentazioni sopra ricordate consentano di considerare le compensazioni fra assegnatario e legittimari come una donazione indiretta fra disponente e beneficiari non assegnatari.

Di conseguenza, la CTP ha annullato l’atto impugnato in quanto il valore della liberalità rientrava ampliamente all’interno della franchigia.

Considerazioni sul patto di famiglia e la fiscalità

La giurisprudenza di merito sopra richiamata dimostra chiaramente un generale accoglimento della posizione assunta dalla Cassazione 2020, indubitabilmente più coerente alla qualificazione delle attribuzioni già fatta nel 2018.

L’obbligo imposto in capo al beneficiario assegnatario di procedere alla compensazione dei legittimari non assegnatari, seppur eseguito mediante denaro o beni provenienti dal patrimonio del medesimo assegnatario, deve essere qualificato alla stregua di una liberalità indiretta da parte del disponente.

Una simile considerazione trova il proprio fondamento nell’effettiva unitarietà negoziale delle attribuzioni all’interno del patto di famiglia ove il disponente non intende solo trasferire l’azienda o le partecipazioni sociali all’assegnatario (come avverrebbe in una ordinaria donazione), ma mira anche a liquidare la relativa quota di legittima a favore dei non assegnatari.

D’altro canto, sarebbe totalmente contrastante con il presupposto del tributo donativo assoggettare al prelievo fiscale un trasferimento patrimoniale reso obbligatorio dall’art. 768-quater, co. 2, cod. civ. in quanto privo del necessario requisito della “liberalità”.

Risultano però criticabili le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza di legittimità – e non contraddette dalle commissioni tributarie – circa l’inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 3, co. 4-ter, TUSD.

Più precisamente, l’esclusione delle assegnazione a favori dei legittimari non assegnatari dal perimetro applicativo dell’esenzione sulla base della sola necessità di interpretare le agevolazioni fiscali “restrittivamente” si scontra con due importanti considerazioni.

In primo luogo, l’interpretazione restrittiva delle norma di favore deve essere controbilanciata da un’attenta analisi circa la ratio della disposizione non potendo un simile principio giungere sino ad escludere dal beneficio fiscale anche posizioni giuridiche astrattamente assimilabili a quelle espressamente individuate dalla disposizione.

In secondo luogo, è fondamentale domandarsi per quale ragione il patto di famiglia ha natura unitaria per quel che riguarda la determinazione dell’aliquota applicabile ma non, invece, per quel che concerne l’esenzione di cui all’art. 3, co. 4-ter, TUSD

Come più volte rilevato anche da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la ratio alla base dell’agevolazione è individuabile nell’intento del legislatore tributario di favorire il passaggio generazionale nelle aziende di famiglia.

Mediante la compensazione a favore dei legittimari non assegnatari, il beneficiario del patto di famiglia si limita a riconoscere una parte del valore dell’azienda o delle partecipazioni a favore degli altri assegnatati garantendo, altresì, stabilità e continuità al passaggio generazionale.

Se così è, allora, anche le compensazioni non possono che trovare il proprio fondamento nel passaggio generazionale rendendo, quindi, irragionevole un trattamento differenziato per due attribuzione che, nella sostanza, costituiscono un negozio unitario finalizzato al trasferimento dell’impresa familiare alla generazione successiva.