Cassazione e regime fiscale del patto di famiglia

Commento a Corte di Cass., sent. n. 29506 del 24/12/2020 – di Thomas Tassani. In www.fiscalitapatrimoniale.info

Premessa: regime fiscale patto di famiglia

Con la sentenza n. 29506 del 24 dicembre 2020, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione definisce il trattamento tributario, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, delle attribuzioni derivanti dal patto di famiglia, correggendo in modo significativo le conclusioni cui la stessa Corte era giunta circa due anni fa (con la pronuncia n. 32823 del 19/12/2018), quando si era trovata per la prima volta ad affrontare la questione giuridica.

Sul piano del ragionamento teorico, la sentenza di Natale 2020 risulta ineccepibile nel momento in cui raccorda la dimensione tributaria con la ricostruzione degli effetti dello strumento negoziale, alla ricerca dell’interpretazione più corretta, sul piano sistematico e teleologico, delle disposizioni del D.lgs. n. 346/1990 (TUSD).

Dal punto di vista dei risultati interpretativi, occorre analizzare (ed apprezzare) distintamente i due profili trattati nella sentenza: da una parte, quello della tassazione ordinaria delle attribuzioni a favore dei legittimari non assegnatari; dall’altro, quello dell’ambito di applicazione del regime di favore di cui all’art. 3, comma 4-ter, TUSD.

L’attribuzione del disponente quale donazione modale con onere ex lege

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, si interroga in primo luogo circa l’ordinario trattamento impositivo da riconoscere, nel tributo donativo, alle attribuzioni cui il legittimario assegnatario è tenuto, ex lege ed in forza del negozio stipulato, a favore del legittimario non assegnatario.

Per poter individuare le disposizioni tributarie applicabili, la Corte ritiene (correttamente) di dover prima di tutto definire i profili causali e, soprattutto, effettuali delle attribuzioni stesse.

Un percorso analogo era stato condotto anche nella precedente pronuncia n. 32823/2018 (più volte richiamata dalla sentenza in commento) con esiti, almeno per quanto attiene questi specifici aspetti, del tutto analoghi.

A giudizio della Suprema Corte, l’intera operazione negoziale richiede una “lettura unitaria” del patto di famiglia (e quindi delle diverse attribuzioni realizzate) “nell’ambito proprio delle liberalità”. Infatti, con tale istituto si realizza una liberalità a favore degli assegnatari con contestuali effetti di “anticipazione” rispetto all’”apertura della successione” dell’imprenditore assegnatario, oltre che di “divisione tra i legittimari”.

La Sezione Tributaria non solo mostra una salda conoscenza delle teorie di diritto civile in tema di patto di famiglia ma, circostanza ancor più apprezzabile a nostro avviso, ritiene di non dover valorizzare una piuttosto che l’altra soluzione teorica, preferendo una sintesi ricostruttiva idonea a mettere in luce le diverse dimensioni dell’istituto: di liberalità, di anticipazione successoria, di divisione, financo solutoria.

In questa logica, nota la Suprema Corte, “ciò che caratterizza il patto di famiglia, e lo distingue da una qualsiasi donazione che abbia ad oggetto gli stessi beni, è la necessaria presenza del conguaglio in favore degli altri legittimari, esigibile da subito, a cui si affianca l’impossibilità di assoggettare a collazione e riduzione le attribuzioni così effettuate”.

Con specifico riferimento all’obbligo di liquidazione, imposto ai legittimari assegnatari (da effettuarsi in denaro o in natura), la sentenza è netta (così come del resto il precedente del dicembre 2018) nell’accogliere l’idea che si tratti di un onere ex lege. Infatti, “dal punto di vista degli effetti, la presenza di tale obbligo, si sostanzia in un peso gravante sull’attribuzione operata con il patto di famiglia, in tutto simile a quanto accade con il compimento di una liberalità gravata da un onere”.

L’attribuzione dal disponente all’assegnatario deve quindi essere qualificata alla stregua di una donazione modale, per quanto attiene gli effetti giuridici; la differenza attiene invece il momento genetico dell’apposizione del modus, avendo questo, nel patto di famiglia, fonte legale (e non negoziale) ed essendo elemento necessario (e non accidentale) dell’attribuzione.

Nello stesso modo di una donazione modale, l’onere “non costituisce il corrispettivo dell’attribuzione ricevuta, ma la ridimensiona, soddisfacendo altri interessi dello stesso disponente e dei terzi destinatari della prestazione”.

La tassazione dell’attribuzione a favore del legittimario non assegnatario quale autonoma donazione da parte del soggetto disponente

Come detto, la conclusione nel senso di ritenere l’attribuzione del disponente del patto di famiglia alla stregua di una donazione modale era già contenuta nel precedente del 2018, sebbene le motivazioni della sentenza in commento risultino avere uno spessore teorico maggiore, evidenziando una grande lucidità e coerenza di pensiero.

Il punto dove però la sentenza del Natale 2020 non segue il precedente del 2018, definendo un vero e proprio revirement interpretativo, è quello delle conseguenze tributarie.

Nel 2018, la Corte aveva infatti affermato che l’esecuzione dell’onere, da parte dell’assegnatario a favore del legittimario, deve essere assoggettata ad imposta “in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario”. Come se fosse da considerare, fiscalmente, alla stregua di una donazione del legittimario assegnatario a favore del legittimario non assegnatario.

Con la sentenza in commento, la soluzione affermata è invece quella [opposta] di considerare la liquidazione “ai soli fini impositivi, donazione del disponente in favore del legittimario non assegnatario, con conseguente attribuzione dell’aliquota e della franchigia previste con riferimento al corrispondente rapporto di parentela o di coniugio”. La liquidazione deve quindi essere trattata come una donazione dello stesso disponente a favore del legittimario non assegnatario, realizzata per il tramite dell’onere gravante sul legittimario assegnatario.

La Suprema Corte giunge a simile risultato ermeneutico, in base ad un analitico esame delle disposizioni del TUSD.

Come si legge nella sentenza, “l’intera sistematica dell’imposta sulle successioni e donazioni evidenzia il principio per cui l’incremento patrimoniale (e quindi l’imponibile) per l’erede ed il legatario è decurtato dell’importo di legati ed oneri loro imposti”.

Al tempo stesso, gli “oneri posti a carico del beneficiario dell’attribuzione e a favore di altri soggetti individualmente determinati, ai fini fiscali, rilevano come attribuzioni provenienti, rispettivamente dal de cuius o dal donante”.

Vengono in rilevo gli artt. 8, comma 3 e 46, comma 3, TUSD; con specifico riferimento alle donazioni, inoltre, l’art, 58, comma 1, a mente del quale “gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”. L’art. 2, comma 49, d.l. 262/2006 è peraltro chiaro nel considerare il modus a favore di un soggetto determinato come un’altra donazione.

L’onere, in buona sostanza, è elemento che, per un verso “ridimensiona” l’attribuzione diretta a favore del beneficiario (riducendone la base imponibile), per altro, evidenza una indiretta attribuzione a favore di un diverso soggetto (da assoggettare autonomamente a tassazione).

Simile paradigma generale delle attribuzioni (inter vivos o mortis causa) modali deve essere applicato anche alle attribuzioni nascenti dal patto di famiglia dato che, sul punto la sentenza è lapidaria, “l’effetto giuridico è in tutto simile all’apposizione di un onere”; “sul piano dell’imposizione, dunque, al patto di famiglia si applica la disciplina fiscale prevista per la donazione modale”.

In modo del tutto coerente con simile impostazione teorica e rimediando ad un evidente errore concettuale contenuto nel precedente del 2018, la Suprema Corte afferma oggi che la liquidazione a favore del legittimario non assegnatario “deve essere considerata, ai fini fiscali, come liberalità dell’imprenditore nei confronti dei legittimari non assegnatari”.

La sentenza chiarisce che simile valutazione tributaria non può mutare per l’osservazione che la liquidazione “sia eseguita dal beneficiario del trasferimento con denaro o beni proprio (o che siano divenuti tali)”.

Questo passaggio potrebbe sembrare superfluo o poco comprensibile, dato che nella logica del patto di famiglia il soggetto che deve procedere a liquidare il legittimario non assegnatario è proprio il legittimario assegnatario e non, invece, il disponente. Tuttavia, esso si spiega per il fatto che la pronuncia del 2018 aveva mostrato di considerare rilevante proprio la movimentazione finanziaria tra assegnatario e legittimario al fine di affermare la tassazione quale donazione tra questi due soggetti.

Bene ha dunque fatto la Suprema Corte a sottolineare questo aspetto.

Così come è importante che la sentenza in commento abbia messo in luce che la soluzione accolta risulti del tutto in linea con il trattamento fiscale che si avrebbe in due alternative fattispecie, ma assimilabili in termini effettuali. Qualora l’imprenditore decidesse di disporre dell’azienda o delle quote per testamento apponendo l’onere, gravante sull’erede o sul legatario, di liquidare gli altri legittimari; oppure qualora l’imprenditore disponesse dei beni dell’impresa e poi, aperta la successione, i legittimari stipulassero un accordo per reintegrare le quote di legittima; in entrambi i casi, i risultati giuridici sarebbero analoghi a quelli determinati dal patto di famiglia con, allora, l’esigenza di definire lo stesso regime impositivo.

Le attribuzioni a favore del legittimario non assegnatario non sono ricomprese nel regime di esenzione previsto dall’art. 3, comma 4-ter, D.lgs. n. 346/1990

Una volta definiti gli ambiti di rilevanza, nel tributo donativo, dell’attribuzione a favore del legittimario non assegnatario, la sentenza indaga il differente tema della possibile riconduzione della stessa nel regime di esenzione di cui all’art. 3, comma 4-ter, TUSD. L’applicazione della disposizione agevolativa consentirebbe di definire il completo non assoggettamento ad imposta, a fronte di un regime ordinario che, come si è visto, è basato sull’aliquota del 4% per la parte eccedente la franchigia di un milione di euro.

La norma in esame esenta da imposizione l’attribuzione di complessi aziendali o di partecipazioni societarie di persone o di controllo (se le compagini sono di capitale) a condizione che il donatario si impegni, in atto, a proseguire l’esercizio dell’attività d’impresa o comunque a detenere le partecipazioni o il controllo della società per un periodo non inferiore ai cinque anni.

Secondo la dottrina prevalente, il regime di favore dovrebbe applicarsi a tutte le attribuzioni contenute nel patto di famiglia: sia a quelle dirette dal disponente all’assegnatario, sia quelle indirette a favore dei legittimari non assegnatari. Due sono le motivazioni a sostegno di simile conclusione.

In primo luogo, per la considerazione unitaria dell’intero assetto negoziale, che assolve ad una complessiva funzione liberale e successoria, in cui le attribuzioni e liquidazioni ai legittimari appaiono inscindibilmente connesse alle assegnazioni delle aziende e quote societarie.

In secondo luogo, per l’ampia finalità agevolativa dell’art. 3, comma 4-ter, TUSD, derivante anche da precise sollecitazioni europee (Racc. Commissione CE del 7/2/1994; Comunicazione Commissione CE del 28/3/1998), mirante a tutelare un momento estremamente delicato della vita delle imprese (soprattutto medie e piccole), quello del passaggio generazionale. Qualora il patto di famiglia fosse “destrutturato”, distinguendo, ai fini della esenzione, i trasferimenti agli assegnatari dalle somme attribuite indirettamente agli altri legittimari, risulterebbe frustrata la finalità agevolativa, introducendo effetti di ordinaria (e pesante) tassazione per alcuni segmenti attributivi.

La sostanza della agevolazione è infatti quella di esentare da imposizione il “trasferimento” di aziende o quote societarie, da intendersi quale “arricchimento” del valore corrispondente alle aziende o quote di controllo (FEDELE, Profilo fiscale del patto di famiglia, in Riv.dir.trib., 2014, 526 ss.).

Nella logica del patto di famiglia, l’arricchimento derivante dal trasferimento di quote societarie non è solo quello a favore dell’assegnatario (o dell’assegnatario “principale”), dovendosi invece considerare anche le attribuzioni spettanti ex lege ai legittimari.

Qualora si ritenessero le attribuzioni ai legittimari al di fuori dal perimetro della esenzione, si determinerebbe, quindi, un’esenzione solo parziale, in violazione dello spirito e della lettera della disposizione di legge.

Nonostante la consistenza teorica delle illustrate argomentazioni, la Corte di Cassazione accoglie una interpretazione restrittiva della disposizione in esame, ritenendo agevolabili i soli trasferimenti diretti di azienda e partecipazioni sociali, quelli cioè dal disponente all’assegnatario.

La Suprema Corte valorizza il dato letterale della norma che, nota la Corte, non fa “alcun richiamo alle liquidazioni dei conguagli in favore dei legittimari non assegnatari”, giustificando la “stretta interpretazione” con la natura agevolativa della disposizione.

Si tratta della parte meno convincente della sentenza, per le ragioni poc’anzi evidenziate e perché, in definitiva, la stessa rilevanza europea dell’intervento legislativo (considerato nella sentenza ma non, a nostro avviso, adeguatamente meditato sul piano interpretativo) avrebbe dovuto condurre ad una soluzione esattamente opposta.